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La storia di Camillo Donati è strettamente legata alla tradizione vitivinicola emiliana. Alla morte del padre nel 1992, supportato dalla moglie Francesca e dai suoceri, decide di lasciare il suo lavoro di ragioniere per dedicarsi alla vigna di famiglia, impiantata dal nonno all’inizio del secolo scorso.
Sono due le figure che segnano la formazione di Camillo: il padre, che gli trasmette l’amore per la natura da cui nascerà la visione di una pratica agricola responsabile e Ovidio, anziano viticoltore legato alla famiglia, che gli insegnerà il lavoro di cantina.
L’azienda oggi conta 15 ettari di vigneto, impiantati a partire dal 1999, su terreni argillosi ricchi di limo; la produzione è integralmente dedicata ai vini rifermentati in bottiglia secondo le tecniche tradizionali della zona.
I vini di Camillo Donati nascono in modo del tutto naturale: tutte le uve sono vinificate usando solo i lieviti presenti nell’uva stessa, non viene praticato nessun controllo di fermentazione, nessuna forzatura termica, nessun ausilio della chimica (solo 5 gr/ql. uva di metabisolfito di potassio in pigiatura), nessuna chiarifica, nessuna acidificazione o disacidificazione, nessun uso di enzimi, lieviti selezionati o altro
In cantina la filosofia seguita è quella di non distruggere ciò che Dio con la natura ci ha donato. Tutti i contenitori sono in acciaio inox. Quasi tutte le uve vengono vinificate in rosso con tempi di permanenza sulle bucce diversi a seconda dei vitigni e delle annate.
Una volta separate le bucce dal mosto, quest’ultimo finisce la fermentazione in una botte a cielo aperto (botte inox ad uso tino). Completata la fermentazione il vino, tramite travaso, viene separato dalla feccia pesante e riposto in una botte chiusa. Da lì, se non necessiterà più di eventuali ulteriori travasi, rimarrà fino all’imbottigliamento.
Segue l'imbottigliamento: per chi fa rifermentazione naturale in bottiglia come Camillo, i propri mosti parzialmente fermentati sono fondamentali. Come diceva Ovidio, mentore di Camillo, sono i “re della cantina”. Questo perchè, serviranno come aggiunta di zuccheri (e non solo) per tutti i vini che hanno svolto completamente i propri zuccheri durante la prima fermentazione. Quindi Malvasia dolce, per tutti i vini bianchi e Bonarda dolce, per tutti i vini rossi.
La frizzantatura avviene dopo l’imbottigliamento (operazione svolta nella Primavera successiva alla vendemmia, solitamente durante la luna calante di Marzo o Aprile) in modo completamente spontaneo. E’ un metodo naturale, antico ed assolutamente rispettoso nei confronti di tutti gli organismi vivi che compongono il vino. Tant’è che a volte la rifermentazione può anche non avvenire a causa di molteplici fattori, ma di sicuro, quando avviene, in ogni bottiglia è diversa.
Tutto questo per noi, dice Camillo, non è un semplice lavoro, bensì "un modus vivendi, che ci permette, ringraziando Dio, di vivere in simbiosi con la Natura, condividendo il meraviglioso ciclo annuale della vite, assaporando l’alternarsi delle stagioni"
Tutte le operazioni accanto alla vite sono fatte a mano, potatura, legatura, spollonatura, vendemmia. Non manca l'attenzione e la cura del suolo, ed ogni operazione è rivolta a migliorarne la struttura sempre nel massimo rispetto della vita microbiologica del terreno stesso. L’inerbimento è spontaneo, con più di 70 specie di erbe presenti.
Per la difesa vengono utilizzati, sempre con parsimonia, solo rame e zolfo. Non è utilizzato nessun fertilizzante tranne nei primi anni d’impianto. Se dovesse essere necessario, viene apportato del letame maturo. Questo modo di coltivare la vite lo si può fare solo in terreni vocati, dove l’intervento dell’uomo è minimale.
La storia di Camillo o meglio quella della sua azienda affonda le radici nel 1930 quando suo nonno Orlando impiantò una vigna di piccole dimensioni per il consumo familiare, in località Arola, in un posto denominato “Groppone” (così chiamato per l’enorme pendenza del terreno).
Allora la vigna nell’economia familiare rappresentava una parte importantissima, che permetteva di bere vino tutti i giorni; questo era fondamentale nell’apporto di calorie nella dieta di quei tempi. Il vino oggi è considerato da molti, sostiene Camillo, solo un piacere (io lo considero anche un alimento) ma anni fa era fondamentale per compensare le carenze alimentari.
Nel 1964 suo padre Antonio, unico figlio maschio di Orlando, nonostante avesse scelto di lavorare in banca, coltivò sempre la vigna del “Groppone”, insieme al nonno Orlando fino al 1964, anno in cui quest’ultimo morì, ed in seguito da solo.
Anche Antonio era un innamorato della Natura, ed in particolar modo della vite, amore che ha saputo trasmettere a Camillo che con orgoglio sostiene: "da lui ho imparato a rivolgermi alla Vite come ad un essere vivente, con il quale dialogare; ognuna con la sua propria individualità. E’ fondamentale riuscire ad intuire e valutare se e di cosa la Vite ha bisogno, specialmente durante la potatura, in modo da poter aiutare quelle in difficoltà ed “assecondare” in modo giusto quelle in piena vigoria"
La Vite, sostiene Camillo, "è una pianta generosissima, che sopporta anche le tante angherie subite a causa del vignaiolo “disattento” o di una stagione avversa. Ma se l’ascolti e la tratti bene, con profondo rispetto e con tanto amore, lei questo lo avverte e ti ripaga largamente". Se la cura della Vite, continua Camillo, "l’ho imparata da mio padre, l’arte del cantiniere l’ho imparata da Ovidio, amico di mio padre ed ora grande amico mio, poiché mio papà era più per stare nella vigna, all’aria aperta, che in cantina. Ovidio mi ha insegnato a muovere i primi passi nel vinificare, trasmettendomi il suo enorme bagaglio tecnico e le sue “perle” di saggezza, frutto di una lunghissima esperienza e di un’intelligenza acuta".
Obiettivo di Camillo? Con molta umiltà, cercare a piccoli passi di trasferire tanta sapienza nei suoi vini, augurandosi che se ne possa cogliere l’essenza. E se tutto ciò è possibile, sostiene Camillo, "lo devo alla Provvidenza ed alla mia famiglia".